L'operaio forestale non rischia il posto per aver rilasciato false dichiarazioni
Il provvedimento adottato dall'agenzia regionale datrice di lavoro viene catalogato come licenziamento anziché come decadenza. Questa distinzione ha portato i giudici a rilevare un difetto di legittimità formale della sanzione dovuto alla violazione del termine di centoventi giorni stabilito dalla legge per completare la procedura disciplinare

Il caso in esame riguarda l'impiego di un operaio forestale presso un'agenzia regionale, il quale aveva falsamente dichiarato di non avere precedenti penali al momento dell'assunzione. La questione cruciale riguardava la qualificazione del licenziamento come disciplinare, sopravvenuto con una presunta tardività.
I giudici d'appello hanno ribaltato la decisione del Tribunale, annullando il licenziamento dell'operaio forestale. Hanno verificato la falsa dichiarazione iniziale del lavoratore e qualificato il licenziamento come disciplinare anziché come provvedimento di decadenza dal servizio, sostenendo l'illegittimità formale della sanzione per superamento del termine disciplinare previsto dalla legge.
Il legale dell'azienda ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo l'errore nella valutazione della qualificazione del recesso da parte dei giudici d'appello. Ha evidenziato la presenza di avvertimenti e clausole contrattuali in merito alle dichiarazioni fuorvianti, sottolineando la falsità della dichiarazione iniziale.
Tuttavia, la Cassazione ha respinto le obiezioni, sostenendo che, nonostante le clausole contrattuali, mancavano i requisiti per considerare la falsa dichiarazione come motivo di decadenza dal servizio: il provvedimento della società, infatti, non poteva essere ricondotto esclusivamente alla decadenza, e, di conseguenza, la violazione del termine disciplinare è risultata determinante per l'annullamento del licenziamento.
Secondo la Cassazione, la falsità documentale può comportare la decadenza solo se impedisce l'instaurazione legittima del rapporto di lavoro; altrimenti, le dichiarazioni mendaci possono giustificare il licenziamento solo se proporzionato alla gravità del comportamento del lavoratore, valutando le circostanze specifiche del caso.
In sintesi, la sentenza ribadisce la necessità di valutare attentamente le conseguenze delle dichiarazioni mendaci in ambito lavorativo (Cass. n. 16994 del 20 giugno 2024).