Tre anni di contratti a termine per lavorare in una società a partecipazione pubblica: legittimo il risarcimento
Per i giudici è doveroso parlare di ricorso abusivo a plurimi contratti di somministrazione a termine

Va risarcito il lavoratore che ha operato a lungo per una società a partecipazione pubblica ma con un susseguirsi di contratti a termine sottoscritti tramite differenti agenzie di somministrazione, coprendo un arco temporale di quasi tre anni e per lo svolgimento sempre delle medesime mansioni. Per i giudici è legittimo parlare di ricorso abusivo a plurimi contratti di somministrazione a termine. Nullo, invece, il riferimento all’accordo di prossimità che rimuove ogni limite legale ed europeo all’utilizzo del cosiddetto lavoro somministrato. Il giudice, richiamando anche i principi enunciati dalla giurisprudenza europea in tema di lavoro somministrato, ha affermato che l’assunzione del lavoratore per lo svolgimento di mansioni ordinarie, e non per esigenze di carattere temporaneo, nonché la durata della prestazione per un totale di trentaquattro mesi presso lo stesso utilizzatore, si pongono in contrasto tanto con la direttiva comunitaria. Di conseguenza, l’utilizzatore deve essere pertanto condannato a versare al lavoratore un adeguato risarcimento del danno, quantificato, nel caso specifico, in sette mensilità della retribuzione globale di fatto. I giudici precisano poi che sono valutabili i precedenti contratti di lavoro, anche se non tempestivamente impugnati alla scadenza, ai fini della valutazione come abuso della complessiva condotta dell’utilizzatore. In questo contesto, infine, va ritenuto nullo l’accordo di prossimità che introduce un regime di totale derogabilità delle disposizioni normative in materia di limiti ai contratti a termine di lavoro somministrato (senza nemmeno prevedere alcuna controprestazione in termini di stabilizzazione occupazionale), non potendosi trasformare il potere di deroga riconosciuto alle parti sociali in un completo stravolgimento della disciplina nazionale e dei limiti derivanti dalla disciplina europea. (Sentenza dell’8 febbraio 2023 del Tribunale di Teramo)