Può costare il posto di lavoro la lite fuori dall’orario di servizio

Questa la valutazione dei giudici in merito alla drastica misura adottata nei confronti di un dipendente pubblico – un necroforo di un ospedale, per la precisione – a seguito della sanzione penale da lui subita per una lite, fuori dall’orario di servizio, con un conoscente

Può costare il posto di lavoro la lite fuori dall’orario di servizio

Lite e aggressione fuori dall’orario di servizio: licenziamento possibile. Questa la prospettiva tracciata dai giudici (ordinanza numero 3971 del 14 febbraio 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame la drastica misura adottata nei confronti di un dipendente pubblico – un necroforo di un ospedale, per la precisione – a seguito della sanzione penale da lui subita per una lite, fuori dall’orario di servizio, con un conoscente.
L’uomo viene licenziato nel 2021. Ciò a causa di un episodio verificatosi fuori dall’orario di servizio, ossia per avere aggredito, nel corso di una lite, un suo conoscente recandogli lesioni con un colpo d’arma da fuoco, fatto, questo, per cui aveva patteggiato una pena di tre anni di reclusione.
Impossibile, secondo l’Azienda sanitaria locale, la prosecuzione del rapporto di lavoro. E di questo avviso sono anche i giudici di primo grado, i quali ritengono compromesso il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, anche in considerazione del fatto che la condotta è indice di pericolosità nei confronti dell’utenza dell’ospedale.
Di parere opposto sono, a sorpresa, i giudici di secondo grado, i quali osservano, in premessa, che il lavoratore è un necroforo che cura il trasporto dei cadaveri all’interno dell’ospedale e li prepara nella sala mortuaria prima che vengano esposti al pubblico, sicché, aggiungono, non emerge un nesso logico e consequenziale tra l’episodio, isolato e occasionale, per cui l’uomo aveva patteggiato nel processo penale, episodio scaturito nell’ambito di una conflittuale relazione personale con il titolare di un’agenzia funebre concorrente rispetto a quella della famiglia del lavoratore, e il timore dell’Azienda sanitaria locale che egli non fosse più affidabile per l’esecuzione futura della sua prestazione lavorativa, ovvero che egli potesse ricadere, a breve, in altra condotta aggressiva nei confronti di terze persone.
A sostegno di questa decisione, poi, i giudici di secondo grado richiamano un elemento: lo stesso Gip, dinanzi al quale il lavoratore ha patteggiato la pena, ha escluso la pericolosità attuale del soggetto e il rischio di reiterazione del reato.
Tirando le somme, per i giudici di secondo grado, il fatto addebitato al dipendente dell’ospedale è privo di rilievo disciplinare, e quindi va disposta la reintegra nel posto di lavoro.
A portare la vicenda in Cassazione provvede, ovviamente, l’Azienda sanitaria locale, ritenendo il comportamento tenuto dal dipendente come idoneo a recidere il vincolo fiduciario e spiegando di avere, nell’intimare il licenziamento, soppesato la gravità della condotta del lavoratore nei suoi riflessi sul versante lavorativo e di essere giunta ad una prognosi di compromissione del vincolo fiduciario.
In quest’ottica, poi, dall’Azienda sanitaria locale sottolineano il peso specifico riconosciuto al comportamento extralavorativo tenuto dal dipendente, in quanto eccedente per gravità gli standards conformi ai valori dell’ordinamento esistenti nella realtà sociale.
Tale visione è ritenuta corretta dai magistrati di Cassazione, anche, anzi soprattutto, tenendo presente che il concetto di giusta causa di licenziamento non si limita all’inadempimento tanto grave da giustificare la risoluzione immediata del rapporto di lavoro, ma si estende anche a condotte extralavorative che, tenute al di fuori dell’azienda e dell’orario di lavoro e non direttamente riguardanti l’esecuzione della prestazione lavorativa, nondimeno possono essere tali da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti. E, difatti, anche condotte concernenti la vita privata del lavoratore possono in concreto risultare idonee a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, allorquando abbiano un riflesso, sia pure soltanto potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto, compromettendo le aspettative d’un futuro puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività. Parimenti, comportamenti extralavorativi imputabili al lavoratore possono colpire interessi del datore di lavoro.
In generale, quindi, il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta, ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o da compromettere il rapporto fiduciario.
Ragionando in questa ottica, comunque, è pur sempre necessario, precisano i magistrati di Cassazione, che si tratti di comportamenti che, per la loro gravità, siano suscettibili di scuotere irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro perché idonei, per le concrete modalità con cui si manifestano, ad arrecare un pregiudizio, anche non necessariamente di ordine economico, agli scopi aziendali, e in particolare quando siano contrari alle norme dell’etica comune e del comune vivere civile.
Tirando le fila del ragionamento, dunque, la sussistenza di una giusta causa di licenziamento va accertata in relazione sia alla gravità dei fatti addebitati al lavoratore (desumibile dalla loro portata oggettiva e soggettiva, dalle circostanze nelle quali sono stati commessi nonché dall’intensità dell’elemento intenzionale), sia alla proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta, e perciò rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buonafede e correttezza.
Tornando alla vicenda oggetto del processo, la specifica illustrazione del fatto in sé (fatto di violenza commesso in strada, di indubitabile gravità, anche se fortunosamente di poche conseguenze perché la vittima del reato è stata colpita solo di striscio dal proiettile esploso dal lavoratore, riportando una escoriazione alla gamba) soddisfa pienamente l’onere datoriale di allegazione della sua incidenza irrimediabilmente lesiva del rapporto di fiducia lavorativo, in quanto di gravità tale – anche per il contesto opaco entro cui si collocava la condotta contestata, cioè il delineato rapporto conflittuale e concorrenziale che da tempo la famiglia del lavoratore, esercente un’attività di gestione di onoranze funebri, aveva con la famiglia della vittima dell’aggressione – da connotare la figura morale del lavoratore, tanto più perché adibito a mansioni (necroforo) che implicano un contatto esterno con parenti di soggetti deceduti e con esercenti di imprese di onoranze funebri, sanciscono i magistrati di Cassazione.

news più recenti

Mostra di più...