False dichiarazioni a danno azienda possono portare alla chiusura del rapporto di lavoro

Fondamentale però il peso specifico delle dichiarazioni. Decisivo il riferimento alla gravità della condotta del lavoratore, soprattutto tenendo conto della grave lesione dell’elemento fiduciario connessa alla falsa imputazione alla struttura di comportamenti violativi delle regole dell’emergenza sanitaria con la creazione di assembramenti e col mancato rispetto dei protocolli

False dichiarazioni a danno azienda possono portare alla chiusura del rapporto di lavoro

False dichiarazioni del dipendente possono costargli il posto di lavoro, soprattutto se esse pongono in dubbio l’immagine dell’azienda. Questa l’ottica applicata dai giudici (ordinanza numero 7788 del 24 marzo 2025 della Cassazione) per chiudere il contenzioso tra una casa di cura e un dipendente, il quale, in sostanza, aveva denunciato all’INAIL, in relazione alla malattia da lui contratta, fatti non veritieri e lesivi dell’immagine aziendale, lamentando, in particolare, nel certificato di infortunio sul lavoro’, scarse condizioni di sicurezza nonostante la pandemia.
Per i giudici non ci sono dubbi:
integra giusta causa di licenziamento la condotta del dipendente che, nel denunciare all’INAIL un infortunio sul lavoro, fornisca dichiarazioni false, e non necessarie ai fini della tutela previdenziale, circa presunte violazioni delle norme di sicurezza da parte del datore di lavoro, quando tale comportamento, per la sua gravità e dolosità, determini una lesione irrimediabile del vincolo fiduciario e esponga il datore di lavoro a potenziali responsabilità civili, penali e amministrative.
Già per i giudici d’Appello, a dirla tutta, il comportamento addebitato al lavoratore non poteva essere semplicemente inquadrato nella condotta punibile dalla contrattazione collettiva con sanzione conservativa in quanto lesiva della sola immagine datoriale, ma, conformemente al tenore della contestazione, involgeva fatti (risultati non veri) compromettenti della datrice su più fronti e si dimostrava grave, doloso ed idoneo a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra azienda e dipendente.
Sulla stessa lunghezza d’onda, infine, anche i magistrati di Cassazione, i quali sottolineano il peso specifico da riconoscere alle affermazioni rese dal lavoratore nel ‘modulo INAIL’ sul mancato rispetto dei protocolli da parte della società nel periodo di emergenza Covid e risultate non veritiere.
In particolare,
la accertata condotta tenuta dal lavoratore presenta profili di complessità che non possono essere ricondotti solo ad una patita lesione all’immagine della società in quanto sono stati evidenziati possibili rilievi penalmente rilevanti, poiché il dipendente, in un contesto in cui non erano necessarie né erano state richieste dall’INAIL, ha fornito dichiarazioni, risultate non veritiere e che avrebbero esposto la datrice di lavoro a varie responsabilità, su più livelli, di natura civile, penale ed amministrativa. In sostanza, con le dichiarazioni del lavoratore, risultate ex post non vere, i profili trasgressivi falsamente attribuiti alla società incidevano anche sotto ulteriori aspetti, oltre a quello della reputazione, esponendo potenzialmente la datrice di lavoro ad una serie di effetti pregiudizievoli ricadenti non solo sul buon nome sul mercato lavorativo, ma anche, eventualmente, sulla stessa continuità dell’attività aziendale.
Lampante, quindi, la gravità dei fatti commessi dal lavoratore. Anche perché: il dipendente non si è limitato a riferire di avere contratto il virus, ma si è spinto ad affermare, con false dichiarazioni, che il contagio era stato frutto di una non corretta gestione dell’emergenza sanitaria da parte del suo datore di lavoro; le dichiarazioni erano state inserite in un modulo indirizzato ad un ente (INAIL) a cui istituzionalmente è demandato il potere di controllo del rispetto da parte del datore di lavoro delle norme in tema di sicurezza sul lavoro; si trattava di precisazioni, fermo l’obbligo di denuncia e di comunicazione dell’infortunio e di invio di tutta la documentazione indispensabile a tal fine, non necessarie a fini della tutela previdenziale richiesta, in una situazione in cui, per l’INAIL, già sussisteva una presunzione semplice, per l’operatore sanitario contagiato, di avere contratto il virus nell’ambiente lavorativo; era ravvisabile, pertanto, un uso improprio del ‘certificato INAIL’, con lo scopo di nuocere al datore di lavoro in quanto le affermazioni riguardavano fatti risultati inesistenti.
Evidente la gravità della condotta del lavoratore, soprattutto tenendo conto della grave lesione dell’elemento fiduciario connessa alla falsa imputazione alla struttura di comportamenti violativi delle regole dell’emergenza sanitaria con la creazione di assembramenti e col mancato rispetto dei protocolli.

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